Nel pieno delle trasformazioni ambientali, digitali e demografiche che attraversano l’Europa e il mondo intero, la promozione dell’empowerment femminile non è più solo una questione di equità, ma un imperativo strategico per la nostra economia. Dare alle donne il giusto spazio nei processi decisionali, nelle imprese e nella leadership, significa stimolare l’innovazione e la competitività dell’intero Sistema Paese.
Eppure, secondo il report realizzato da Deloitte, UN Women Italy e Winning Women Institute sull’"Empowerment Femminile”, siamo ancora lontani da questi traguardi. In Italia, il tasso di occupazione femminile è fermo al 52,5%, contro il 70,4% di quello maschile. Solo il 13,5% delle startup innovative è guidato da donne. Nei ruoli manageriali, la presenza femminile è al 28%, mentre nei consigli di amministrazione la parità è attesa non prima del 2038.
Le cause? Barriere culturali persistenti: responsabilità familiari che ricadono ancora soprattutto sulle donne, accesso limitato al credito e ai capitali, pregiudizi culturali, ma anche un senso di inadeguatezza, indotto da norme sociali, che continua a frenare le carriere femminili. A tutto questo si somma la scarsa rappresentanza nei settori strategici per l’economia del futuro: oggi solo il 20,6% delle studentesse universitarie europee sceglie percorsi di studio ICT e secondo l’Unesco appena il 6% delle donne nel mondo lavora come sviluppatrice software.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale, colmare il divario di genere potrebbe generare una crescita del PIL fino all’8% nei mercati emergenti e una chiusura del gap a livello globale potrebbe generare un balzo medio del 23% in tutti i Paesi. E studi recenti dimostrano che la presenza di almeno tre donne nei consigli di amministrazione migliora sensibilmente i risultati ambientali e sociali delle imprese. Per questo, strumenti come i Women’s Empowerment Principles (WEPs) delle Nazioni Unite e la certificazione UNI/PdR 125:2022 giocano un ruolo cruciale. Offrono linee guida concrete e indicatori di performance per integrare la parità di genere nei processi aziendali e istituzionali.
La vera sfida, tuttavia, è culturale. Serve un cambiamento organizzativo che valorizzi la leadership femminile con pratiche di assunzione inclusive, lavoro flessibile e percorsi di carriera sensibili al genere. Ancora prima del lavoro: bisogna intervenire nelle scuole, dove le giovani studentesse devono superare stereotipi di genere e possono essere orientate verso competenze STEM, sempre più importanti per costruire l’economia del futuro.
Solo così, partendo dai primi livelli dell’istruzione, l’Italia può fare un salto di qualità. Le riforme sui congedi parentali, il diritto al lavoro flessibile e il supporto all’imprenditoria femminile sono passi importanti. Ma per generare un impatto sistemico serve un cambio di passo culturale e una forte alleanza tra istituzioni, imprese e società civile. Perché se la metà delle donne in Italia non lavora, è tutto il Paese a perdere. Ma se quelle stesse donne trovano spazio e risorse, allora l’intera economia italiana può crescere più forte, innovativa e orientata alla crescita.