Vita in Deloitte

Veronica Colombi

Scopriamo insieme l’esperienza come Deloitte Coach di Veronica Colombi, Manager nel Consulting di Deloitte, che ci racconta di cosa l’ha spinta ad aderire al programma di internal coaching e che cosa ha appreso da questa attività.

Ciao! Parlaci di te e del tuo ruolo in Deloitte.

Sono entrata in Deloitte nel 2015 dopo essermi laureata in Management per le Amministrazioni Pubbliche presso l’Università Luigi Bocconi di Milano. La sanità mi appassiona da sempre e, infatti, prima di unirmi a Deloitte ho svolto uno stage in una struttura ospedaliera privata all’interno della Funzione Risorse Umane occupandomi di Performance Management. Credo che quella esperienza lavorativa, seppur per me la prima, mi abbia lasciato un segno indelebile: non solo da lì ho capito che quel mondo non mi avrebbe più abbandonata, ma anche che da lì deriva la mia spiccata attenzione verso gli altri che per me sono persone prima che risorse.
Deloitte mi ha permesso di coltivare entrambe le mie passioni: da un lato, lavorando all’interno della Digital Care, ho la fortuna di svolgere numerosi progetti con i principali stakeholder dell’ecosistema della sanità e, dall’altro, cerco di essere di aiuto agli altri svolgendo il ruolo di Coach e di Talent Ambassador per Career & Performance.

Come sei diventata coach?

Perché ho deciso di diventare coach? Perché mi ci sento. Chiaramente coach non si nasce e diventarlo, soprattutto diventare un buon coach, uno di quelli che si distingue e che fa davvero la differenza, richiede tanta pratica. Qualche elemento teorico serve per iniziare a familiarizzare con questo nuovo ruolo, ma l’insegnamento vero, quello al quale a volte non si è preparati, è sul campo. Credo infatti che il percorso per diventare coach sia l’esempio più eclatante e vero del “learning by doing”, quando ad esempio di fronte a te trovi una persona che ti chiede “Ma tu al mio posto che cosa faresti?” oppure “Che cosa hai fatto quando ti sei trovato in una situazione simile?”. Come sappiamo fare bene noi consulenti di fronte a questo tipo di domanda, non finiamo nemmeno di ascoltare le ultime parole che già siamo pronti a formulare una risposta per evitare che l’altro ci colga in flagranza di reato, ovvero quello dell’essere impreparati. È di fronte a questo genere di domande che il mio essere coach prende il sopravvento: il segreto non è rispondere “Io farei, io farei…”, ma piuttosto fare un tuffo nel passato e cercare nel proprio percorso qualcosa che aiuti il coachee a trovare risposte alle proprie domande in modo autonomo e con consapevolezza. Questo per me è il vero significato di esperienza: mettere il proprio vissuto al servizio di qualcun altro per aiutarlo a crescere.

Che valori porti a casa da questa esperienza?

In questo meraviglioso viaggio, in cui si impara gli uni dagli altri (a volte anche sbagliando, ma questo fa parte del gioco), non si arricchisce soltanto il coachee che trova qualcuno che lo stimola e lo supporta, ma anche il coach che ha l’opportunità di sviluppare e affinare la propria empatia, la capacità di ascolto e di confronto. È bello sapere che queste competenze mi permettono di generare un impatto significativo sugli altri. In altre parole, il coach makes an impact that matters.

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